Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


31 gennaio 2012

INTERVISTE SUL PIANO DI AREZZO

Questo post è dedicato, purtroppo, alla mia città, Arezzo. E' un invito e un suggerimento alla città e agli amministratori a prendere serenamente atto del fatto che abbiamo approvato recentemente un Regolamento Urbanistico da tutti ormai ritenuto scadente culturalmente, privo di qualsiasi indicazione della forma urbana e confuso nella sua formulazione. Dico abbiamo approvato perchè in fondo tutta la città è responsabile di un Piano Regolatore, pur con livelli di responsabilità diversi.
E' un invito almeno ad ascoltare le ragioni dei professionisti. Non cerchiamo "tavoli di concertazione", non chiediamo incrementi volumetrici, non suggeriamo "nuove espansioni", non desideriamo favori. Vogliamo solo un piano serio, comprensibile, che non ci renda dipendenti da interpretazioni bizantine.
Ma è necessario che tutto il Consiglio Comunale si renda veramente conto che la città è completamente ferma, seduta, ripiegata su se stessa, impossibilitata a fare qualunque piccolo intervento, anche il più modesto, dal gazebo al piccolo ampliamento, cioè le uniche cose che pur nella situazione di crisi generale ancora i cittadini vorrebbero fare.
Per non dire poi delle aziende che volessero investire nel miglioramento e ammodernamento (non dico nel nuovo) dei propri impianti.
Una variante ad una parte del Regolamento Urbanistico, quella sul patrimonio edilizio esistente, è assolutamente prioritaria anche per i professionisti, incapaci di assumersi la minima responsabilità con norme incomprensibili senza prima essere costretti a chiedere lumi agli uffici.
Ne fanno fede le già cospicue "interpretazioni" ufficiali e quelle ufficiose.
Il cuore del post non è questa introduzione ma un video che il Sindacato Ingegneri e Architetti Liberi Professionisti, INARSIND Arezzo cui sono iscritto, ha realizzato con quattro interviste, mediamente di tre minuti ciascuna, ad altrettanti architetti.
Ciascuno ha risposto alle stesse due domande, ciascuno ha formulato la sua proposta su come procedere, qualcuno indicando un preciso percorso tecnico. Se quattro professionisti ci mettono la propria faccia qualcosa vorrà pur dire
L'augurio è che serva a sensibilizzare l'amministrazione, che per adesso non sembra oggettivamente molto interessata, forse illudendosi di poter migliorare il piano "in corsa". E' una illusione, e ne è prova che nemmeno 2500 osservazioni sono riuscite nello scopo, nè avrebbero potuto perchè tutto il piano è privo di struttura logica (mettendo del tutto in secondo piano gli inesistenti contenuti strettamente urbanistici).
Ma dopo una gravidanza di oltre 10 anni aver partorito uno strumento di questo genere non è assolutamente tollerabile, nè si può prendere a pretesto la indiscutibile crisi del settore per considerare non dannose le gravi deficienze del Piano.

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22 gennaio 2012

Questa notizia proprio non posso non darla. E' solo un vezzo, naturalmente, però è anche una buona notizia.


dal Corriere della sera.

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21 gennaio 2012

CONTROSTORIA DELL'ARCHITETTURA

"E subito annunciò che, dopo Littoria, ne sarebbero state costruite altre quattro – Sabaudia, Pontinia, Aprilia, Pomezia – e ricostruita Ardea, che era abbandonata da due secoli. La notizia fece fracasso dappertutto. Perfino Le Corbusier scrisse al Duce, e si fece raccomandare dal governo francese, perché gliene facessero progettare almeno una, pure gratis, pure pagando di tasca sua anche i rotoli di carta lucida e le matite. Ha dovuto aspettare Chandigarth, trent’anni dopo.
S’è tuffata a volo d’angelo tutta la congrega degli architetti ed ingegneri d’Italia: “Non passa lo straniero”.
Tutti quelli che parlavano bene hanno cominciato a parlare più forte. Chi aveva avuto a che fare col futurismo, chi era stato marcia su Roma, chi si sentiva Antonio Sant’Elia o Michelangelo reincarnati. E tutti a sputare su Frezzotti. Non gli è riuscito a togliergli Littoria e poi Pontinia – perché oramai la cosa era andata troppo avanti – ma nelle altre città nuove non gli hanno fatto progettare nemmeno una fontanella.
Omissis
Sui manuali di architettura e sui testi ci stanno tutti – Piccinato, Mazzoni, Montuori, Piacentini – chi citato con un paragrafo, chi con un capitoletto a parte. Eccetto lui. Se lo sono scordato tutti. “Era un gregario”, dice Portoghesi".

Questi brani, tratti dal romanzo Palude, Dalai Editrice, di Antonio Pennacchi, sono una efficacissima rappresentazione dell’eterno mondo dell’architettura e degli architetti, con tutte le figure possibili: il “grande” architetto, disposto a tutto pur di soddisfare la propria ambizione e il proprio narcisismo, i protezionisti autarchici, convinti di essere grandi quanto il grande, il gregario dell’architettura, cui è toccata in sorte la fortuna di realizzare ben due città e che sa tirare fuori gli attributi al momento giusto e infine il mondo della critica, sempre molto equanime e soprattutto non ideologizzato, proprio come oggi insomma.

Ma, in tempi di dibattito sulla professione, vi si ritrovano echi delle odierne, modeste battaglie sull’assegnazione degli incarichi, con l’orologiaio svizzero che fa "concorrenza sleale" pur di raggiungere il fine e con gli indigeni che cercano di non essere scavalcati. La “congrega” degli architetti” è senza tempo, con la non piccola differenza che i Piccinato, i Mazzoni, i Montuori e i Piacentini non nascondevano le loro legittime ambizioni dietro la richiesta di leggi ad hoc, con ciò strumentalizzando istituzione e colleghi per fini propri, si esponevano personalmente e, pur vantando meriti di genere politico oltre che professionale, rischiavano in proprio, non con cortigiane furbizie burocratico-istituzionali ammantate di cultura. Ci mettevano la loro faccia, non quella di una sigla.
Bravissimo Pennacchi nel saper cogliere l’anima dell’architettura e quella degli architetti. Questo sì che è un metodo da vera Controstoria dell’architettura fatta di carne, di lotte, di tradimenti, di errori, di tiri mancini, di capacità, di vittorie e di sconfitte, di umanità.

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14 gennaio 2012

SCELTE URBANISTICHE ROMANE E CENTRI COMMERCIALI

Un nuovo post di Ettore Maria Mazzola dedicato alle scelte urbanistiche di Roma, con principi validi però per ogni città.

Sulle recenti scelte urbanistiche per Roma e sul pericolo derivante dai centri commerciali
di
Ettore Maria Mazzola


Sin dal giorno dopo la sua elezione, l’attuale sindaco di Roma si è distinto – e per questo è stato giustamente criticato su tutti i fronti – per le sue scelte contraddittorie, in totale disaccordo con le promesse della campagna elettorale. L’impressione generale che oggi si ha di Alemanno è quella di un sindaco perfettamente allineato con le scelte dei suoi due predecessori, ma con un’aggravante: mentre Rutelli e Veltroni, accecati da una visione distorta della modernità che si chiama “modernismo”, sono sempre rimasti coerenti nella loro idea di violentare la città, mettendola in mano agli immobiliaristi e alle archistar, Alemanno è invece andato contraddicendosi giorno per giorno, perfino all’interno della stessa giornata, come in occasione della conferenza sul futuro di Roma che si tenne nel 2009 presso l’Auditorium di Renzo Piano.


Inoltre, mentre Rutelli e Veltroni si erano ben organizzati a livello “culturale” per poter mettere in atto gli scempi peggiori che Roma abbia potuto registrare dal fascismo ad oggi, Alemanno, circondatosi di personaggi di dubbia cultura, s’è fatto cogliere con le mani nella marmellata diverse volte, dal parcheggio di Largo Perosi, alla sistemazione di Piazza San Silvestro, dal sottopasso dell’Ara Pacis, al taglio dei platani di Tor di Quinto, per non parlare delle “geniali trovate ambientaliste” sui grattacieli e sulla Formula 1, fino alla recente storia dell’albero di Natale in Piazza Venezia … ma la lista potrebbe estendersi.
Nel frattempo, la politica della giunta Alemanno ha portato la città ad un degrado mai registrato prima: le strade versano nel più totale stato d’incuria, Roma è più sudicia che mai, gli omicidi hanno subito un’impennata, gli autobus, specie nelle giornate festive, sono sempre più scarsi, e i cittadini si sentono abbandonati a se stessi, nonostante le presunte promesse di sicurezza!

Se il sindaco avesse davvero voluto distinguersi dai predecessori, e se davvero avesse avuto a cuore la qualità della vita e la sicurezza dei cittadini, avrebbe potuto evitare la realizzazione di 16 nuovi centri commerciali che, sommati ai 22 già esistenti, faranno quota 38!

Il proliferare dei centri commerciali è un danno gravissimo alla qualità della vita perché, annientando il commercio lungo le strade, toglie sicurezza alle stesse. Queste strutture inoltre, obbligando all’uso dell’automobile, acutizzano quelle emissioni nocive per le quali, paradossalmente, il sindaco finge di preoccuparsi organizzando le giornate a targhe alterne e le domeniche a piedi, che servono solo a portare portano solo disagio tra i cittadini e non migliorano un bel nulla … visto che le auto più inquinanti sono proprio quelle di ultima generazione, e visto che i mezzi pubblici risultano del tutto insufficienti!

Ma come è possibile – nel bel mezzo della più grave crisi finanziaria voluta dal sistema di strozzinaggio manovrato dagli oligarchi delle grandi banche internazionali – che il sindaco e i suoi consiglieri non si accorgano che realizzare queste strutture risulti utile solo a fare aumentare il debito di tutti gli stupidi pesci che abboccheranno all’esca? Tutti i centri commerciali, romani e non, dimostrano l’insufficienza delle reti di trasporto atte a sostenere i volumi di traffico richiamati certe strutture … né, di certo, le infrastrutture (strade, parcheggi, illuminazione, ecc.) vengono realizzate a spese di chi promuova e apra i centri commerciali!

Delle problematiche economiche ed urbanistiche connesse all’apertura dei centri commerciali ho comunque già detto in abbondanza negli ultimi articoli pubblicati su De Architectura e AffariItaliani.it, pertanto in questa sede, nella speranza che il sindaco e il suo entourage leggano la notizia, mi limiterò a ricordare le ragioni per le quali possiamo affermare che un centro commerciale produca un danno serio alla sicurezza delle strade, nonché le ragioni per le quali la vigilanza armata, tanto cara ad Alemanno, non serva a nulla, se non ad aumentare le spese dei contribuenti.

In base a queste ragioni, proporrei al signor sindaco di pensare a reindirizzare quegli investitori che gli mettono pressione per la realizzazione di centri commerciali, verso un programma teso alla realizzazione di un “centro commerciale naturale diffuso”, ovvero lungo le strade dei quartieri meno centrali e periferici. Questo programma potrebbe operarsi in due modi:
1) il primo, di più immediata realizzazione, potrebbe operarsi trasformando tutti i vari “piani pilotis” delle palazzine e palazzoni periferici in negozi e botteghe, eliminando al contempo quegli “spazi di nessuno”, orribilmente recintati, posti tra gli edifici e i marciapiedi, questo potrebbe farsi mediante l’edificazione di strutture ad un piano – possibilmente porticate per agevolare il passeggio e lo shopping in caso di pioggia – che leghino tra di loro gli edifici “puntiformi” ricreando una continuità nelle cortine edilizie;
2) realizzando la stessa cosa in maniera più radicale, ovvero mettendo in pratica quei progetti di “ricompattamento urbano” che ho descritto nei miei libri (1), e che messo in pratica nei progetti sviluppati per il Corviale di Roma e lo ZEN di Palermo.

Come ho detto dunque, volendo spiegare ad Alemanno & co. le ragioni che ci inducono ad affermare il pericolo alla sicurezza causato dalla realizzazione di un centro commerciale, e volendo prevenire quelle stupide accuse di “passatismo” che la maggioranza di architetti ed ingegneri ideologicamente schierati vomiteranno, faccio appello ad un illuminante testo del 1961, in Vita e morte delle grandi città (2) di Jane Jacobs che, nel capitolo “Le funzioni dei marciapiedi”, articolato in “la sicurezza” e “i contatti umani”, diceva:

«Le funzioni di autogoverno delle strade sono tutte modeste, ma indispensabili. Nonostante molti tentativi, pianificati o no, non s’è ancora trovato nulla che possa sostituire una strada vivace e animata […] La prima cosa da capire è che l’ordine pubblico nelle strade e sui marciapiedi della città non è mantenuto principalmente dalla polizia, per quanto questa possa essere necessaria: esso è mantenuto da una complessa e quasi inconscia rete di controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi. In certe zone urbane, come ad esempio in molti vecchi complessi di case popolari e in molte strade con rapido cambio di popolazione, il mantenimento della legge e dell’ordine sui marciapiedi è affidato quasi interamente alla polizia e a guardie speciali: ebbene queste zone sono vere giungle, perché non c’è polizia che basti a garantire la civile convivenza una volta che siano venuti meno i fattori che la garantiscono in modo normale e spontaneo. Il secondo punto da tener presente è che il problema della sicurezza non si risolve accentuando la dispersione degli abitanti, sostituendo cioè al carattere urbano quello tipico del suburbio. Se così fosse Los Angeles dovrebbe essere una città sicura».

Ed ecco il punto:
«Tutti sanno che una strada urbana frequentata è probabilmente anche una strada sicura, a differenza di una strada urbana deserta. Ma come vanno effettivamente le cose, e che cosa fa sì che una strada urbana sia frequentata oppure evitata? Perché viene evitato il marciapiede di Washington Houses, che dovrebbe costituire un’attrazione, e non i marciapiedi della città vecchia immediatamente adiacente? Che cosa avviene nelle strade che sono animate in certe ore ma ad un certo punto si spopolano improvvisamente?
Per essere in grado di accogliere gli estranei e di approfittarne per accrescere la propria sicurezza, come sempre accade nei quartieri più vitali, una strada urbana deve […] essere sorvegliata dagli occhi di coloro che potremmo chiamare i suoi naturali proprietari. In una strada attrezzata per accogliere gli estranei e per garantire lo loro sicurezza e quella dei residenti, gli edifici devono essere rivolti verso la strada; non è ammissibile che gli edifici lascino la strada priva di affacci, volgendo verso di essa la facciata posteriore o i lati ciechi. […] I marciapiedi devono essere frequentati con sufficiente continuità sia per accrescere il numero delle persone che sorvegliano la strada, sia per indurre un congruo numero di residenti a tenere d’occhio i marciapiedi dagli edifici contigui. A nessuno piace starsene seduto sul terrazzino d’ingresso o affacciato alla finestra a guardare una strada deserta (e infatti quasi nessuno lo fa), mentre c’è molta gente che si diverte a dare di tanto in tanto un’occhiata a ciò che avviene in una strada animata.

[…] Condizione essenziale per attuare tale sorveglianza è che lungo i marciapiedi del quartiere sia disseminato un congruo numero di negozi e di altri luoghi pubblici, e in particolare di esercizi e luoghi pubblici frequentati nelle ore serali e notturne. Così soprattutto i negozi, i bar e i ristoranti possono favorire in modi diversi e complessi la sicurezza dei marciapiedi
».

È incredibile quanto matura e attuale sia questa lettura critica della città modernista, nonostante si tratti di un documento pubblicato nel 1961! … Ma non è incredibile il fatto che a scriverlo non sia stato né un architetto, né un sociologo, bensì una giornalista illuminata. L’attualità di queste parole dovrebbe essere un monito per chi continua a pianificare la città in zone monofunzionali dove la vita non è di casa … Ora le è chiaro signor Sindaco?

Link:
Jane Jacobs
Strade 1°: Palladio e Jane Jacobs
Strade 2°: Jane Jacobs
Vita e morte della grandi città

Note:
1) Contro Storia dell’Architettura Moderna, Roma 1900-1940 - A Counter History of Modern Architecture, Rome 1900-1940, (Alinea Edizioni, Florence 2004); Architettura e Urbanistica, Istruzioni per l’uso - Architecture and Town Planning, Operating Instructions, prefazione di Léon Krier (Gangemi Edizioni, Rome 2006); Verso un’Architettura Sostenibile – Toward Sustainable Architecture prefazione di Paolo Portoghesi, (Gangemi Edizioni, Rome 2007); La Città Sostenibile è Possibile – The Sustainable City is Possible, prefazione di Paolo Marconi (Gangemi Edizioni, Rome 2010)
2) Tradotto e pubblicato in Italia nel 1969 a cura di Einaudi.

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7 gennaio 2012

IL CANE CHE SI MORDE LA CODA

Un post di E.M.Mazzola sulla relazione tra forma della città e caro benzina, cioè tra forma della città e sistemi di trasporto.
Pubblico un'immagine trovata tra i vari studi del piano della mia città, Arezzo, che rappresenta il territorio comunale, uno dei più grandi d'Italia, con l'occupazione di suolo dei "centri urbani". Il perchè di questa immagine la si capisce leggendo il post


Caro benzina: cambiare il sistema? O continuare a fare come il cane che si morde la coda?
di
Ettore Maria Mazzola

Un articolo, comparso su Il Corriere della Sera on-line del 5 gennaio 2012, ci informava di un’interessante iniziativa organizzata dal Codacons: a seguito del folle caro benzina, che ormai ha raggiunto gli € 1,80 al litro (facendo segnare dall’inizio del 2011 un aumento pari a circa il 16% della Verde e di circa il 25% del Gasolio! n.d.r.) le associazioni dei consumatori invitano a non fare il pieno nelle giornate del 5 e 6 gennaio.
Per ovvie ragioni, purtroppo, difficilmente chi vive nelle grandi città avrà potuto aderire a questa encomiabile iniziativa, che si spera abbia invece riscosso una grande adesione nelle città più piccole, e nei paesini. Ormai risulta sempre più difficile poter parlare di città, visto che gli esseri umani, a causa dell'urbanistica scriteriata del 20° secolo, vivono sparsi su un territorio così vasto che non può chiamarsi né città, né campagna. Tutto, sin dai progetti di Le Corbusier (sponsorizzati dal produttore di automobili Voisin) è stato fatto per rispondere agli interessi dei costruttori di automobili e dei produttori di petrolio.

Nella sua lucida follia, immortalata nel Plan Voisin e nella Ville Radieuse – follia sposata in pieno dall’urbanistica e dall’architettura modernista – Le Corbusier diceva:

«le città saranno parte della campagna; io vivrò a 30 miglia dal mio ufficio, in una direzione, sotto alberi di pino; la mia segretaria vivrà anch’essa a 30 miglia dall’ufficio, ma in direzione opposta e sotto altri alberi di pino. Noi avremo la nostra automobile. Dobbiamo usarla fino a stancarla, consumando strada, superfici e ingranaggi, consumando olio e benzina. Tutto ciò che serve per una grande mole di lavoro ... sufficiente per tutti».

Ma questo sistema, folle e visionario, non aveva fatto i conti con il possibile esaurimento dei combustibili fossili, né col fatto che il sistema consumistico a suo supporto avrebbe finito col portare gli esseri umani a dipendere, in tutto e per tutto, dal sistema di indebitamento pubblico e dalla conseguente vessazione delle banche e delle lobbies.
Questa breve premessa fa sì che si debba pensare al più presto ad un cambiamento del nostro stile di vita totalmente sballato.
Detto ciò, considerato che per gli stati globalizzati e consumisti diviene impossibile riuscire a divincolarsi, almeno nel breve termine, da questo abominevole sistema, l’unica difesa possibile diviene quella di evitare di alimentarlo in maniera dissennata.

Considerando quindi che, nelle attuali condizioni, i nostri politici non sono in grado di venire incontro ai contribuenti, tagliando loro le tasse,una soluzione possibile potrebbe essere quella aiutarli a limare le spese giornaliere di trasporto e di gestione della casa, il che si traduce in una riduzione degli spostamenti e del consumo energetico, operata attraverso un’urbanistica a dimensione umana e un’architettura più rispettosa dell’ambiente.

Diversamente dall’assurdo modello LeCorbuseriano della presunta “Città Funzionale” (Città dispersa, organizzata in maniera monofunzionale e zonizzata), che non funziona affatto, specie in assenza di petrolio, la Città tradizionale, multifunzionale e compatta , funziona molto meglio, risulta più sicura, e costa ai contribuenti molto meno.
Una semplicissima dimostrazione di questa affermazione emerge dal fatto che la città tradizionale, essendo organizzata secondo in principio di “casa e bottega”, consente alla gente di poter fare a meno dell’automobile per fare i propri acquisti; ma una città più compatta si traduce anche in una spesa minore per la costruzione e manutenzione delle strade, marciapiedi, illuminazione, acquedotti, linee elettriche, fogne, linee telefoniche, gas, potatura alberi, ecc. Inoltre, la presenza dei negozi lungo le strade, fa sì che la città tradizionale risulti costantemente “vigilata” spontaneamente dai pedoni e dai negozianti, portando maggiore sicurezza a costo zero. Infine la città tradizionale, utilizzando per le sue costruzioni tecniche e materiali naturali – prevalentemente a chilometri zero – riduce i costi di trasporto di questi ultimi e, soprattutto, quelli di riscaldamento e raffrescamento degli ambienti, fino al 50% di quelli di riscaldamento e fino al 100% di quelli di raffrescamento.

Allora, un modo per poter venire incontro al contribuente da parte della classe politica, potrebbe essere quello di promuovere un ricompattamento del tessuto urbano, piuttosto che promuovere lo sviluppo della città dispersa e il conseguente consumo di territorio.
Ecco perché risulta assurdo e contraddittorio il comportamento di quei sindaci che, mentre da una parte consentono l’allargamento a macchia d’olio della città e la costruzione di centri commerciali, e dall’altra organizzano le “giornate ecologiche” a piedi, causando problemi enormi a chi vive in città impossibili dall’essere vissute a targhe alterne e, peggio ancora, a piedi.

La cosa potrebbe sembrare un’utopia ma, pensandoci bene, potrebbe invece risultare un grande affare per l’economia nazionale e locale.
Se, come diceva Baudrillard, “la modernità è trasformare la crisi in valore”, la crisi attuale ci consente di poter affermare che oggi, più che mai, abbiamo la possibilità di essere moderni trasformando il problema della città dispersa in un enorme valore per tutti.
Giovanni Giolitti, nel 1909, lamentandosi del fallimento del Comune di Roma a causa dei piani urbanistici post unitari disse:
«Se in principio, nel 1870, vi fosse stata un’Amministrazione comunale che, intuendo l’avvenire di Roma, avesse acquistato le aree fino a 5 o 6 km intorno alla città, ed avesse compilato un piano di ingrandimento, studiato con concetti molto elevati, oltre ad avere creato una città con linee molto più grandiose, avrebbe anche fatto un’eccellente speculazione»(1).
Questa riflessione lo aveva già condotto nel 1903, nel suo 3° mandato da Presidente del Consiglio, ad emanare l’illuminata Legge Luzzatti che istituì gli ICP e, dal 1907 in poi, a produrre una serie di norme e strumenti di gestione dell’edilizia pubblica che portarono l’edilizia ad essere la principale fonte di reddito pubblico … finché il Fascismo non impedì all’ICP, all’Unione Edilizia Nazionale e al Comitato Centrale Edilizio di operare in concorrenza con l’imprenditoria privata.

L’aver abdicato a favore della privatizzazione, da quegli anni ad oggi, ha condotto il nostro Paese ad una situazione è drammatica, soprattutto a causa al sistema di indebitamento pubblico. Dunque, in questa drammatica situazione, l’unico modo per rialzare la china è quello di ricominciare a fare ciò che sapevamo fare prima di quella resa.

Del resto, come ha osservato Italo Insolera parlando delle problematiche di inizio Novecento: «in una città che ha l’edilizia come sua unica attività industriale, il deficit dell’amministrazione può essere sanato proprio con una diretta partecipazione in tale ramo di investimenti»(2).

Considerando quindi che la città dispersa, ereditata dalla scriteriata urbanistica novecentesca, risulta prevalentemente costituita da vuoti di proprietà demaniale, potremmo ipotizzare una campagna di ricompattamento delle città, dove chi muove i fili è la Pubblica Amministrazione, e non gli speculatori fondiari.

Se l’Amministrazione di dotasse di piani plani-volumetrici che “ridisegnino la città” al fine di ricompattarla, quei terreni potrebbero garantirle un’enorme rendita. Se a questo si aggiunge che, rispolverando i criteri adottati un tempo, l’ATER (ex IACP), potrebbe ricominciare a costruire in proprio – ed anche per conto terzi – l’edilizia pubblica, senza più distinguere tra case popolari e non, questa macchina economica potrebbe servire a creare tantissimi posti di lavoro, e potrebbe portare le città ad esser più compatte e, all’interno di ogni quartiere, ad avere tutti i servizi necessari a ridurre, se non ad eliminare del tutto, gli spostamenti.

Tutto questo, diversamente dall’attuale sistema keynesiano di gestione della spesa pubblica, potrebbe tradursi in un grande beneficio per tutti: riduzione della spesa pubblica, con conseguente emancipazione graduale dal sistema di indebitamento pubblico, creazione di tantissimi posti di lavoro, con conseguente aumento del potere d’acquisto da parte delle famiglie, realizzazione di città più sicure indipendentemente dall’inutile e costosa presenza di forze dell’ordine, riduzione degli spostamenti con conseguente riduzione delle emissioni nocive, riduzione graduale delle tasse, miglioramento delle condizioni sociali ed economiche della gente, ecc.
L’organizzazione della protesta del Codacons contro il “caro benzina” è un segnale che ci invita a riflettere sulla necessità di cambiamento del nostro modo di spostarci e di vivere… diversamente continueremmo imperterriti a fare come il cane che si morde la coda.

Note:
1) Per l’edilizia della capitale, Camera dei deputati, tornata 16 giugno 1907, Discorsi, vol. III, p. 969.
2) Italo Insolera in Roma – Immagini e realtà dal X al XX secolo, Laterza Edizioni, Roma-Bari 1980, pag. 32.

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3 gennaio 2012

RETTIFICA SU CONCORSO "OUTSIDE THE BOX"

Nel mio post La giuria popolare di Prestinenza Puglisi commentavo un concorso privato organizzato dall'Associazione Italiana di Architettura e Critica presS/Tfactory, esponendo dubbi su alcuni aspetti, soprattutto quelli legati al voto on line e alla composizione della giuria.
Stasera mi è arrivata una mail (di seguito) da parte di Prestinenza Puglisi in cui precisa alcuni dettagli tecnici in ordine alla impossibilità di esprimere più voti da parte dello stesso soggetto, e anche in ordine alla giuria.
Mantengo inalterato il mio giudizio sulla sostanziale non rappresentatività di votazioni e sondaggi via internet in genere ma, oltre che pubblicare volentieri la precisazione, prendo atto dei contenuti della stessa.
E comunque preciso, come ho già fatto privatamente via mail a LPP, che io di corruzione o brogli o imbrogli non ho proprio parlato e, devo dire, nemmeno pensato. Sono un rompiballe ma non un malpensante. Non uso mai il termine corruzione, tanto più a sproposito per un concorso privato. E poi l'oggetto del concorso non è di quelli che potrebbe stimolare appetiti economici, come ho anche scritto nel post. Ho parlato di metodo (lecito) per dare maggiore visibilità al concorso e l'ho fatto solo in relazione al fatto che io auspico davvero giurie popolari per i concorsi che riguardino lo spazio pubblico, di giurie popolari fatte di nomi, cognomi e carte d'identità di persone e non di Id, o IP che siano, sparsi nel mare magnum della rete.

Questa la mail di LPP:

Caro Pietro
Ho letto solo oggi le tue critiche al concorso outside the box.
Volevo risponderti ma non so se le mie osservazioni ti sono arrivate via web, quindi te le mando via mail

1) il premio della giuria popolare lo ha voluto Analist, che è il soggetto che ha promosso e finanziato il premio. E' un di più e non un di meno. Nel senso che si aggiunge ai premi tradizionali.
2) Mi hanno assicurato i tecnici che un computer non può dare più di un voto ( o qualcosa del genere: credo che forse non è il computer ma l'id. Ma non mi chiedere di più perché non sono un esperto, ma se ci tieni proprio ti ci metto in contatto). Quindi sono esclusi voti plurimi e a grappolo.
3) E' vero che i giurati sono anche professionisti che partecipano ad altri concorsi. Ma è escluso che possano manipolare il voto. Intanto perché ci sono due giurie: una che seleziona e una che sceglie. E poi perché i giurati di ogni singola giuria votano senza sapere il voto degli altri. Ed è difficile pensare che si mettano d'accordo intanto sia perché sono al di sopra di ogni sospetto, sia perché vivono in paesi diversi, sia perché non si conoscono così bene, sia perché non è ragionevole pensare che abbiano, per quanto riguarda questo concorso, interessi comuni. Tutto, per carità è possibile, ma in questo caso che sia possibile corruzione credo proprio che sia molto, molto, molto improbabile.
Con preghiera di pubblicazione.
Abbracci parametrici ;-)
Luigi (Prestinenza Puglisi)

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